L'Adriatico è ceruleo e silenzioso, non c'è un alito di vento, l'acqua del porto è appena increspata da una fine, leggera pioggerellina. Il binocolo destinato ai turisti cerca solitario, invano, un qualsiasi movimento all'orizzonte.
Volgendo lo sguardo alle spalle, in piazza Unità, la situazione è la stessa.
Il freddo umido e la pioggia fine, arrivano alle ossa, inducono a ritirarsi nei caffè, che di storico non hanno più nulla, ma almeno offrono un caldo riparo ed un sollievo per il palato, dolce e languido, come il ricordo di un passato ormai remoto, di una nostalgia per una gloria che fu, che si vorrebbe rivivere e ripossedere, ma che, tutti sanno, non tornerà.
Mi affaccio al mare ed alla Piazza di Trieste che non è neppure metà pomeriggio, ma la luce è ormai quella della sera. Ed infatti i lampioni sono già accesi e l'ora blu, grigio-blu, oggi arriva verso le 16,30.
Dopo tanta attesa di vedere Trieste, l'impatto con il "non luogo" per eccellenza non poteva essere più evocativo. E' vero, sono i primi giorni dell'anno, ma il freddo, la pioggia, il buio repentino, ti sbattono subito in faccia la realtà di una città che ammette a se stessa di brillare di una gloria solo riflessa, e di vivere una "saudade" che la bora stessa non riesce a spazzare via.