23.06.24 – Camera presenta 150 fotografie di Margaret Bourke-White – fino al 6 ottobre 2024

Le nuove mostre fotografiche estive di Camera, a Torino

Abbiamo partecipato alla presentazione alla stampa della nuova superba mostra su Margaret Bourke-White a Camera - Centro Italiano per la Fotografia, aperta fino al 6 ottobre 2024.
Dico subito due aspetti che trovo rimarchevoli: le eccellenti stampe di Davide D'angelo e finalmente i vetri antiriflesso che ne consentono piena godibilità. Grazie Camera!

Monica Poggi ha curato un percorso che, attraverso 150 fotografie, racconta l’opera della famosa fotografa americana dal 1930 al 1960.
Margaret Bourke-White ha attraversato la metà del XX secolo con una vita e un’opera straordinaria, con un livello ed una forza espressiva costanti, che l’hanno portata sempre dove la storia costituiva momenti di svolta, a contatto diretto con i più noti personaggi del momento, affermando in modo fermo, determinato ed anticipatore, la sua femminilità e la sua capacità di racconto per immagini.
Molti dei suoi scatti sono diventati iconici e famosissimi, la rivista LIFE le deve molto del suo successo, e noi dobbiamo molto alla sua acutezza di visione, alla sua ironia, al suo coraggio.
Bourke-White divenne una delle fotografe più note del Novecento, a tal punto che negli anni di suo maggior successo escono un fumetto e una serie televisiva a lei dedicati.
La sua forza è stata quella di leggere gli avvenimenti del mondo per trovarsi nel posto al momento giusto, senza per forza realizzare immagini sensazionali.
Nella sua autobiografia scrive:” Mi svegliavo ogni mattina pronta a ogni sorpresa che il giorno mi avrebbe portato. Tutto poteva essere conquistato. Niente era troppo difficile. Dicevi sì alla sfida e costruivi la storia”
Nasce a New York nel 1904, studia biologia alla Columbia University e frequenta per alcune settimane il corso di fotografia tenuto dal famoso fotografo pittorialista Clarence H. White.
Trasferitasi alla Cornell University, Bourke-White inizia a vendere le sue fotografie all’interno del campus per mantenersi durante gli studi; nel 1926 si stabilisce a Cleveland e apre un piccolo studio fotografico: di giorno immortala architetture e giardini, guadagnando il necessario per comprare attrezzature e materiali che usa di notte per ritrarre le grandi acciaierie della città.
Nel 1929 l'editore Henry Luce la invita a New York per contribuire alla nascita della rivista illustrata Fortune e da quel momento la carriera di Bourke-White è un percorso in continua ascesa.
Le trasformazioni del mondo sono il cuore della ricerca entusiasta e incessante della fotografa.
Pubblica celebri reportage sulle industrie americane e viaggia in Unione Sovietica, dove documenta lo sviluppo del piano quinquennale promosso da Stalin per trasformare il paese in una grande potenza industriale. Una delle immagini più note di questo periodo è quella che la ritrae accovacciata su uno dei grandi gargoyle del Chrysler Building, dove vive, mentre, senza alcuna protezione, fotografa dall’alto il brulichio della città sottostante.
Negli anni Trenta la rivista LIFE sceglierà la sua foto della diga di Fort Peck per la copertina del primo numero, uscito il 23 novembre 1936. LIFE vuole essere una finestra sul mondo, testimone oculare dei grandi avvenimenti della storia, fare vedere cose mai viste e sostenere i valori del New Deal. Se inizialmente i suoi lavori si contraddistinguono per la quasi totale assenza dell’uomo in favore delle architetture e delle macchine industriali, con la pubblicazione del libro fotografico You have seen their faces (1937) compie un cambio di rotta, concentrandosi sulla denuncia della povertà e della segregazione razziale nel Sud degli Stati Uniti.
Durante la Seconda guerra mondiale realizza reportage in Unione Sovietica, nel Nord Africa, in Italia e in Germania, seguendo l'entrata delle truppe statunitensi a Berlino e documentando gli orrori dei campi di concentramento.
Dedica gli ultimi servizi all’Apartheid in Sud Africa e alla segregazione razziale negli Stati Uniti.
Bourke-White viene accolta ovunque, anche in situazioni di conflitto, come una celebrità, status che le permette di realizzare ritratti a personaggi storici come Stalin e Gandhi.
Lo stile di Bourke-White predilige la posa alla presa diretta spontanea (più cara a Robert Capa), così trasforma le persone più umili in attori universali, rappresentati di una collettività, eroici anche nella miseria.
Dopo una carriera di reportage indimenticabili, nel 1957 è costretta ad abbandonare la fotografia a causa dei sintomi del morbo di Parkinson, dedicandosi alla scrittura della sua autobiografia Portrait of myself, pubblicata nel 1963. Nel 1971 muore a causa delle complicazioni dovute alla malattia.
La mostra include un percorso di opere visivo-tattili accompagnate da audiodescrizioni che approfondiscono lo stile e la storia. La selezione comprende sia alcune delle immagini più note sia alcuni scatti meno conosciuti del lavoro dell’autrice.

SALA 1 – I primi servizi di LIFE
Nel novembre del 1936 esce il primo numero di LIFE, rivista dedicata a un grande pubblico all’interno della quale la fotografia ha un ruolo fondamentale. Bourke-White viene incaricata di realizzare le immagini per le prime pagine e la copertina. Il soggetto è uno dei più grandi progetti del New Deal: la costruzione della diga di Fort Peck, in Montana. Col suo lavoro l’autrice racconta sia la monumentalità della diga che la vita degli operai che vivono con le loro famiglie nei villaggi e nelle baraccopoli sorte attorno al cantiere.

SALA 2 – L’incanto delle fabbriche e dei grattacieli
L’industria è uno dei temi più importanti e più ricorrenti della carriera di Bourke-White. Le prime immagini risalgono al 1926: realizzate nell’acciaieria Otis a Cleveland, dimostrano il grande coraggio e la determinazione nell’affrontare la pericolosità del luogo. Le industrie e le macchine sono per lei i migliori soggetti per raccontare il tempo in cui vive e la grandezza degli Stati Uniti, di cui si fa portavoce per tutta la vita. Allo stesso modo, le immagini delle città e delle metropoli raccontano la sua incrollabile fiducia nel progresso.

SALA 3 – Ritrarre l’utopia in Russia
All’inizio degli anni Trenta, Bourke-White compie diversi viaggi in Unione Sovietica, spinta dalla volontà di documentare gli stravolgimenti che investono il paese. Il governo stalinista ha infatti varato il primo piano quinquennale che ha lo scopo di trasformare il paese in una potenza industriale. Grazie alla sua esperienza nelle acciaierie, Bourke-White è la prima fotografa occidentale ammessa nel paese. Pochi anni dopo sarà la prima fotografa straniera a ritrarre Stalin, immortalato nel raro istante di un sorriso.

SALA 4 – Cielo e fango, le fotografie della guerra
Grazie a un accordo fra LIFE e il Pentagono, Bourke-White è la prima fotografa a seguire le forze di aviazione statunitensi durante la Seconda guerra mondiale. Passati alcuni mesi in nord Africa, si trasferisce in Italia, per documentare la liberazione e la vita della popolazione civile. Nel 1945 segue l’avanzata in Germania, fino alla liberazione di Buchenwald, dove ritrae i sopravvissuti scheletrici, gli ammassi di corpi, ma anche i volti sconvolti dei civili tedeschi obbligati a entrare nel campo per prendere coscienza di ciò che era avvenuto a pochi passi dalle loro case.

SALA 5 – Il mondo senza confini: i reportage in India, Pakistan e Corea
Durante la Seconda guerra mondiale, nasce in India il movimento di liberazione dalla dominazione coloniale britannica guidato da Gandhi, protagonista di alcune delle fotografie più note di Margaret Bourke-White. L’autrice ritrae anche il funerale del leader induista. Ritrae anche Muhammad Ali Jinnah, sostenitore della nascita dello stato pakistano, e i tragici massacri avvenuti fra hindu e musulmani e i drammatici fatti seguenti alla separazione fra India e Pakistan del 1947.
L’ultima guerra documentata da Bourke-White è quella in Corea dal 1952.

SALA 6 – Oro, diamanti e coca-cola
Il tema del razzismo è particolarmente caro a Bourke-White, che fin dai primi anni della sua carriera documenta senza esitazione le diseguaglianze che affliggono gli Stati Uniti.
Anche il reportage che realizza in Sudafrica mostra la crudeltà dell’apartheid, con lo sfruttamento dei minatori per l’estrazione di oro e diamanti.
Quando fotografare le diventa impossibile, decide di diventare soggetto fotografico. Con la testa rasata, si mostra sulle pagine di LIFE in una nuova veste.

------

Con l’esposizione Il giorno dopo la notte, invece, fino al 21 luglio 2024, la Project Room di CAMERA apre le sue porte alla personale di PAOLO NOVELLI (Brescia, 1976) a cura del direttore artistico del Centro Walter Guadagnini, che riunisce due cicli di lavoro del fotografo – La notte non basta e Il giorno non basta - realizzati fra 2011 e 2018, considerati centrali nell’evoluzione del suo linguaggio.
Entrambe realizzate in analogico in un rigoroso bianco e nero, nel quale il processo di stampa assume un’importanza fondamentale, le due serie presentano sostanzialmente un unico soggetto, le finestre, coperte da persiane chiuse o murate, sulle facciate di edifici che non presentano alcuna caratteristica architettonica di particolare fascino. Le finestre qui vengono intese come una soglia, punto d’incontro tra dentro e fuori, luce e ombra. Il silenzio è un altro attore delle sue fotografie, avvolgente, in attesa di un movimento, un modo per sottolineare il tempo sospeso delle immagini, tra un prima e un dopo inconoscibili.

 

11.10.22 – Robert Doisneau: una sontuosa antologica a Camera – fino al 14 febbraio 2023

Ieri mattina abbiamo partecipato alla presentazione alla stampa della nuova, sontuosa, mostra di Camera - Centro Italiano per la Fotografia, aperta dall'11 ottobre 2022 al 14 febbraio 2023.

Robert Doisneau (1912-1994), notissimo per alcuni scatti iconici tra cui il celeberrimo “Baiser de l’Hotel de Ville”, ha lasciato un patrimonio di 450 mila negativi, meno noti.

L’ampia antologica di Camera consente di approfondire la conoscenza di uno dei Maestri riconosciuti del XX secolo.

Una mostra da gustare lentamente, per entrare a fondo nel mondo ripreso da Doisneau, per viverlo con gli stessi sentimenti che traspaiono dai suoi scatti.

Al termine rimane, anche nei giorni successivi, un retrogusto buono, un ricordo morbido ed avvolgente.

È una cifra stilistica specifica di Doisneau, rispetto al suo più noto collega Cartier-Bresson, che me le ho fatto amare fin dalla gioventù: mentre nelle foto di HCB traspare un approccio calcolato, quasi matematico, talmente perfetto da risultare spessp algido, nelle immagini di Doisneau c’è un fil rouge di coinvolgimento, di empatia, di immedesimazione, di partecipazione alla realtà che fotografa, che arriva all’osservatore non frettoloso.

Le parole del curatore Gabriel Bauret spiegano perfettamente l’intento della mostra: “non è l’ennesima esposizione su Robert Doisneau né una retrospettiva sulla sua produzione, ma è frutto della scelta consapevole di mettere in evidenza quello che c’è dietro le sue fotografie”.

In primo luogo si vuole mostrare il legame tra le sue opere e la sua biografia, scoprire l’Autore dietro le sue immagini.

È un uomo con una determinata storia, che viene da un determinato contesto e che ha cercato di ritrovare nella fotografia alcuni aspetti forse mancati nella sua esistenza. In particolare, Doisneau ricerca, nel suo “teatro della strada”, una certa forma di tenerezza, una certa forma di umanità.

È un fotografo “umanista” nel senso che l’uomo è al centro della Fotografia.

Doisneau non è un filosofo ma la sua fotografia è vicina alla filosofia umanista ed esistenzialista di Camus e di Sartre. La sua postura fotografica è pienamente consapevole del suo periodo storico, immersa nei drammi e delle speranze dell’uomo del suo tempo, e proprio per questo è assolutamente contemporanea ed attuale nella sua essenza.

É un fotografo che ricercava il proprio piacere personale nell’atto del fotografare, che cercava di trovarsi a proprio agio in quell’universo.

Del resto, Doisneau diceva spesso di amare e cercare quelle situazioni nelle quali si sentiva bene. In quelle situazioni che fotografa ritroviamo, infatti, sentimenti, complicità, intesa, nonché ironia e curiosità”

Il secondo aspetto che emerge da questa mostra è la qualità della composizione.

La costruzione dell’immagine va ben oltre il soggetto e il risultato è che tutto contribuisce ad evidenziare e far esprimere il soggetto stesso.

Consiglio di prestare particolare attenzione a questo aspetto, che in alcune immagini appare al primo colpo d’occhio, ma in molte altre emerge sottilmente e lentamente.

La mostra presenta un percorso attraverso i temi ricorrenti da lui affrontati in più di cinquant’anni con la fotocamera sempre pronta a scattare: Bambini, 1934 – 1956; Occupazione e Liberazione, 1940 – 1944; Il dopoguerra, 1945 – 1953; Il mondo del lavoro, 1935 -1950; Il teatro della strada, 1945 – 1954; Scene di interni, 1943 – 1970; Portinerie, 1945 – 1953; Ritratti, 1942 – 1961; Una certa idea della felicità, 1945 -1961; Bistrot, 1948 – 1957; Moda e mondanità, 1950 – 1952.

Il sontuoso allestimento della mostra a CAMERA presenta oltre 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero su carta baritata che provengono tutte dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge.

Al termine, un’intervista video al curatore Gabriel Bauret e la proiezione di un estratto dal film realizzato nel 2016 dalla nipote del fotografo, Clémentine Deroudille: Robert Doisneau, le révolté du merveilleux (Robert Doisneau. La lente delle meraviglie), che contribuisce ad approfondire la conoscenza dell’uomo e della sua opera.

Last but non least, con l’intento di favorire la partecipazione di un pubblico sempre più ampio, la mostra include un percorso dedicato alle persone con disabilità visiva che comprende disegni a rilievo e relative audiodescrizioni.

Infine il notevole catalogo “Robert Doisneau”, edito da Silvana Editoriale.

 

INFORMAZIONI

CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, 10123 - Torino www.camera.to | camera@camera.to

Facebook/ @cameratorino

Instagram/ @cameratorino

Orari di apertura (Ultimo ingresso, 30 minuti prima della chiusura)

Lunedì 11.00 - 19.00

Martedì 11.00 - 19.00

Mercoledì 11.00 - 19.00

Giovedì 11.00 - 21.00

Venerdì 11.00 - 19.00

Sabato 11.00 - 19.00

Domenica 11.00 - 19.00

Chiusura

24 dicembre 2022

25 dicembre 2022

Orari speciali

31 dicembre 2022 11.00-15.00

1 gennaio 2023 15.00-19.00

Biglietti
Ingresso Intero € 12
Ingresso Ridotto € 8, fino a 26 anni, oltre 70 anni

e per i soci / possessori / iscritti:

Alliance Française AFIP – Associazione Fotografi Professionisti, Aiace Torino, Amici della Fondazione per l’Architettura, APC Gold Card, Card “Io Leggo di Più”, Card MenoUnoPiuSei, Centro Congressi Unione Industriale Torino, COOP, ENI Station, Enjoy, FAI – Fondo Ambiente Italiano, FIAF, Hangar Bicocca, Medicina e Misura di Donna Onlus, Ordine degli Architetti, Slow Food, Touring Club Italiano.

E per possessori del biglietto d’ingresso di:

Gallerie d’Italia (Torino, Milano, Napoli, Vicenza), Forte di Bard, Museo Nazionale del Cinema, MEF – Museo Ettore Fico.

Ingresso Gratuito
Bambini fino a 12 anni
Possessori Abbonamento Musei Torino Piemonte, possessori Torino + Piemonte Card, soci ICOM.

Visitatori con disabilità e un loro accompagnatore. Guide turistiche abilitate

09.09.22 – Al MAO la mostra: Riposo! Cina 1981-1984 nelle foto di Andrea Cavazzuti

Stamattina abbiamo partecipato alla presentazione alla stampa della nuova mostra del MAO (Museo d’Arte Orientale di Torino).

Si tratta questa volta di una mostra fotografica, ispirata alle radici culturali del Museo, ma ormai orientata alle nuove direttive dei Musei italiani, non più solo luogo della conservazione, ma soprattutto della fruizione, della produzione culturale, della condivisione pubblica del sapere e del patrimonio materiale artistico.

Questo al centro dell’introduzione del suo Direttore Davide Quadrio, nell’occasione anche curatore della mostra insieme a Stefania Stafutti, direttrice italiana dell’Ist.Confucio dell’Università di Torino, che hanno poi presentato la mostra e l’Artista fotografo.

Non si tratta di una mostra qualsiasi sulla Cina tra il 1981 e il 1984, ma delle fotografie di un importante Autore italiano, Andrea Cavazzuti, classe 1959, che partecipò tra le altre cose a “Viaggio in Italia”, il progetto fotografico inventato e coordinato da Luigi Ghirri, che vide coinvolto anche un altro grande come Olivo Barbieri che sarà a Torino il 1° ottobre proprio insieme a Cavazzuti.

Andrea Cavazzuti vive e lavora da più di trent’anni in Cina, dove approdò nel 1981.

Le sue parole: “In Occidente l’immaginario visivo della Cina era, come un po’ ancora oggi, quello del già defunto Mao e della già conclusa Rivoluzione Culturale. Figlio dei miei tempi e allenato com’ero a cercare oltre gli stereotipi anche in patria, fotografavo una Cina non vista e, quel che è peggio, nemmeno immaginata, quindi invisibile. Le cose già viste soddisfano, consolano, hanno a che fare con la memoria mentre il non visto è secco, scostante, refrattario, a volte antipatico. La Cina mi si presentava come uno straordinario bazar di oggetti, scene e comportamenti non omologati tra i nostri cliché culturali. Per me era irresistibile: gli oggetti in vista, la totale mancanza di privacy, le attività umane messe in scena su un palcoscenico sempre aperto, il paradiso del fotografo”.

La mostra di oltre 70 stampe in bn scattate in Cina tra il 1981 e il 1984, mostra in modo convincente “il clima della Cina di quegli anni: un paese ancora povero, ma affacciato su un futuro denso di speranza e animato da un entusiasmo che fa di quel periodo uno dei momenti più interessanti e, a mio avviso, più belli della storia recente di questo complesso paese” (Stefania Stafutti).

Il titolo dell’esposizione, 稍息 Riposo!”, è un riferimento agli anni di passaggio tra un periodo drammatico e l’avvio della rincorsa alla modernità attuale. Le sue immagini hanno seguito e immortalato la Cina e i suoi giganteschi cambiamenti dagli anni Ottanta a oggi, costituendo una testimonianza preziosa oltre che un’opera affascinante e corposa.

Con uno sguardo nitido e poetico, e un’ingente dose di senso dell’umorismo, Andrea Cavazzuti cristallizza in queste immagini una Cina che non esiste forse più, ma che è indispensabile conoscere per comprendere la storia e la personalità del colosso mondiale di oggi. Il suo sguardo è quello di uno straniero senza arroganza: la nostalgia gratuita è messa al bando, così come la trita ricerca dell’esotico. L’occhio di Cavazzuti coglie bellezza, comicità, fascino e stranezze con la freschezza del primo incontro. Le opere esposte, influenzate dalla forza della fotografia italiana di quegli anni, dimostrano però di trovare anche una strada del tutto personale.

Molte immagini colgono i contrasti di quegli anni, forieri del tumulto successivo, e si concludono sapientemente con una foto che affianca due giovani, vestiti uno in abito maoista, l’altro in abito di fattezze occidentali.

Consiglio senza dubbio la visita di questa mostra (termina il 2 ottobre p.v., quindi affettatevi!) per ammirare notevolissime stampe di grande formato in un eccellente bianco nero, di un Fotografo con la maiuscola, eccellente e non supponente, bravo ma modesto, con cui si può dialogare tranquillamente, come ho fatto. Anche dell’illuminazione da migliorare e dei riflessi che costringono l’osservatore ad un surplus di pazienza.

Ma questo è un problema ricorrente che Musei e Gallerie non sembrano in grado di superare, per vari motivi anche comprensibili. Peccato però, perché opere sontuose come quelle di Cavazzuti chiederebbero miglior godibilità.

In sintesi tantissimi complimenti all’Autore e anche al MAO che ha comunque allestito una mostra davvero eccellente sotto tutti i punti di vista.

19.02.22 – Note sulla mostra “Vivian Maier inedita” a Torino fino al 26 giugno 2022

Sono sempre piuttosto diffidente verso la cultura basata sui grandi nomi, quelli che quasi tutti conoscono e che quindi attirano.
Capitava così negli anni ’80-’90 a teatro, quando veniva proposto solo Pirandello, Goldoni, Feydeau, et similia.
Capita ancora oggi nel mondo dell’arte in generale, e della fotografia in particolare.

Poiché la fotografia è purtroppo ancora un’arte minore, almeno per il grande pubblico, e quindi il richiamo si fa usando i grandi nomi: Mc Curry, Cartier Bresson, Mc Curry in tutte le declinazioni possibili (… e i libri, e gli animali, e gli antipasti, e le scarpe, e le zie, ecc.), Vivian Maier, Mc Curry (sì, sì, sempre lui, stavolta coi tacchini e i bambini), ecc.  Insomma si è capito.
Per fare mostre di cassetta si propongono sempre i soliti nomi, anche a ripetizione.
Per carità! Si capisce bene che organizzare una mostra ha dei costi notevoli (programmazione, trasporti, assicurazioni, personale, e così via) ma talvolta la sciatteria è sconfortante, per usare un eufemismo.
Mi riferisco per esempio alla mostra su Vivian Maier proposta a fine 2019 a Stupinigi, su cui avevo già scritto tutto il peggio possibile.
E il popolo bue è sempre pronto a pagare biglietti sempre più cari per mostre sempre più scarse, pur di poter dire “c’ero anche io”.

Non si tratta di fare snobismo, ma di capire che la cultura non è seguire la corrente, ma è proposta di ricerca, di crescita, di elevazione, di studio, di fatica, di anticipazione.
Mi rendo conto, elencando, che si tratta di valori oggi in grave crisi.

Discorso diverso invece per quanto riguarda la mostra “Vivian Maier inedita”, proposta alle Sale Chiablesi, dal 9 febbraio al 26 giugno.
Mostra molto ampia e ben curata, con un indovinato percorso tematico, con un degno allestimento.

Continuo a pensare che Vivian Maier non sia una delle più grandi fotografe del XX° secolo, come mira a farci pensare il formidabile apparato di marketing che circonda la sua figura orchestrato dalla Maloof Collection, proprietaria della gallina dalle uova d’oro.
Si tratta certamente di una ragguardevole amateur, che merita certamente un posto di riguardo nella storia della fotografia, ma della cui consapevolezza si potrebbe discutere a lungo, soprattutto se si considera che dell’imponente mole di stampe e rullini neppure sviluppati si è venuti a conoscenza solo dopo la sua morte ed in modo assolutamente fortuito, lasciando aperta la possibilità di pensare che la fotografia per lei avesse una valenza terapeutica più che “artistica” o “reportagistica”.
Ciò non significa sottostimare il valore dello spontaneismo, che diversamente si sottrarrebbero alla storia dell’arte molti importanti artisti del ‘900, con scarsa o nulla fortuna in vita.

Riguardo all’”inedita”, diciamo subito che delle oltre 250 immagini esposte, molte sono assolutamente già straviste.
Si deve tuttavia riconoscere che la curatrice Anne Morin ha saputo, in un sapiente allestimento per tematiche, proporre molte “perle”.

La mostra affronta la totalità del lavoro della Maier, dalle foto di street fino ai poco noti filmini in super8, dagli anni ’50 alla fine degli anni ’80.
Tra le diverse sezioni tematiche proposte lungo il percorso espositivo, mi preme qui segnalare ciò che ho trovato particolarmente degno di nota, in quanto diverso dal solito e dal più noto.

La sezione “autoritratti”, oltre ai famosissimi ritratti specchiati nelle vetrine dei negozi, ce ne propone molti giocati sulle ombre e sui profili proiettati: una modalità certamente meno vista e conosciuta, ma che mi ha suscitato interesse ed ammirazione.

 

 

 

 

 

L’ombra del fotografo è normalmente considerata un errore. In questo caso Vivian Maier ha saputo farla diventare soggetto importante, elemento “animato” della composizione, con una sottile ironia allusiva, forse inconscia metafora della propria situazione esistenziale: una donna che vive nell’ombra, e che nell’ombra esprime se stessa in una modalità nascosta.

Il motivo delle ombre si ritrova nella sezione dedicata all’infanzia, nelle cui immagini gli stessi bambini che accudiva diventano partecipi del suo gioco.

Una indubbia capacità di creare situazioni in cui l’osservatore si sente chiamato, invitato alla partecipazione attiva, ad indagare e a porsi domande.

Anche per questo motivo, nelle foto che qui propongo ho aggiunto volontariamente la mia ombra, o i miei riflessi, e per giocare insieme a Vivian.

Sorvolo sulla “ruffiana” esposizione delle foto che la Maier ha realizzato a Torino nel ‘59, nel suo sembra unico viaggio fuori dagli Stati Uniti, sulla strada della avita regione francese del Champsaur: niente di più che banali cartoline ricordo di viaggio.

Mi soffermo invece sulla sezione intitolata “segni”. In queste immagini, che credo di non aver mai visto prima, la Maier si sofferma su oggetti o particolari, a volte talmente slegate dai propri referenti o contesti da risultare astratte.

Questa specie di catalogo di “trouvailles” trova un filo narrativo nel lungo termine e nella quantità, ricomponendosi alla fine nel racconto di un gioco, non direi infantile, magari maturato nelle sue attività di baby sitter.

 

 

L’ultima sezione su cui invito a soffermarsi è quella dei “giochi cinetici”.

Dall’inizio degli anni settanta il movimento e la frammentazione si inseriscono nel suo linguaggio fotografico.  Vivian Maier gioca con le temporalità, creando sequenze cinetiche, come usando il linguaggio cinematografico.

In questa sezione ho trovato dei veri, a mio modesto giudizio, colpi di genio che mi hanno catturato ed ispirato.

 

 

 

 

 

Il resto non lo anticipo, ma lo troverete riccamente esposto e sapientemente descritto anche nei generosi pannelli di presentazione di ogni sezione tematica.

Per ultimo, purtroppo due parole sull’illuminazione. Nella precedente mostra a Stupinigi era orrenda, insieme ad altri aspetti. Qui, nelle Sale Chiablesi, è molto migliorata, anche grazie a spazi di fruizione molto abbondanti.

Tuttavia quasi tutte le stampe riflettono in modo fastidioso. Allora io chiedo due cose:

  1. Per una mostra il cui biglietto di ingresso non è proprio popolare, non si potrebbero allestire cornici con vetro antiriflesso?
  2. Per quanto possa valere una stampa “argentique”, visto che sono comunque tutte ristampe, è proprio il caso di mettere un vetro di protezione? Non si potrebbe godere della vista “tattile” della ruvidità della carta senza un vetro di mezzo? Se anche se ne rovinasse una o due, cosa ci vorrebbe a ristampare? Ci sono nei musei opere di ben altro valore con minore protezione dal pubblico.

Godetevi una mostra di complessivamente ottimo livello!

 

 

 

07.02.22 – Note sui commenti vuoti alle fotografie.

Da molto tempo avevo in mente di scrivere queste note e finalmente ne ho trovato lo spirito giusto.

Quando ad una persona una tua fotografia non piace, ciò risulta abbastanza evidente.

Soprattutto se la persona in questione ha rapporti con te autore. Ma di solito vale in generale.

Ha timore di offendere e quindi si trattiene nei commenti, resta alla superficie e gira intorno, in uno stentato politically correct, che a Torino definiamo “falso e cortese”.

Ed in questi casi, il linguaggio non verbale è molto più esplicito di quello verbale: il viso non si apre, l’espressione resta abbastanza rigida, le parole escono stentate e formali, di circostanza.

Quando invece la fotografia “piace”, lo vedi: le spalle scendono, i muscoli facciali si distendono, gli occhi si dilatano, le parole escono con più facilità.

Le parole spesso si traducono in complimenti, anche se ancora più spesso questi si fermano ad un aggettivo: “bella”, e alle sue articolazioni grammaticali di comparativo o superlativo.

Spessissimo, quasi sempre, la storia dei complimenti finisce lì: “bella”, “bellissima”, “ma che bella!”, seppure con i punti esclamativi.

La questione si fa più intricata quando nel mezzo si pone il social medium.

In questa situazione, quando la foto non piace, il filtro dello schermo consente ai leoni da tastiera le esibizioni più volgari e becere, a volte sprezzanti o violente, spiegabili con un vuoto pneumatico di sostanza, intellettuale e culturale, e soprattutto con una abissale ma supponente incapacità.

Se invece la foto piace, anche in questo caso, accade molto spesso, quasi sempre, che i complimenti si fermino al like o al cuoricino, talvolta (in un inestimabile impeto di generosità di tempo e impegno), come sopra, a “bella”, “bellissima”.

E’ come se per criticare fossimo dotati di un vocabolario quasi infinito ed articolato, variegato nei toni e negli accenti, mentre per lodare ci mancassero drammaticamente proprio le parole, sostantivi ed aggettivi.

Questo comportamento sconta certamente una povertà culturale e lessicale della mia generazione, e delle successive ancor più.

Credo sia indotto anche dalla pigrizia e dalla rapidità d’uso che il social medium in qualche modo pretende o suscita.

Il fatto stesso che la maggior parte dei commenti scritti sia sostituita da una semplice, drammaticamente banale, iconcina (like, cuoricino, ecc.), ma svelta e furba (ops, smart, mi scuso), induce a non sforzarsi a cercare e trovare le parole giuste.

Questo atteggiamento sarebbe accettabile in un contesto generico, o generalista, dove il coinvolgimento è nella natura delle cose veloce e superficiale.

Risulta, almeno per me, meno accettabile in contesti in cui invece il coinvolgimento è a livelli più profondi, motivati da appartenenze, da gusti comuni, da pratiche comuni, da interessi e passioni comuni.

Come per esempio i gruppi fotografici, in cui di norma la comune passione dovrebbe alimentare comportamenti e contributi di più alto valore.

Ciò che dirò di seguito, comunque, riguarda indistintamente sia il caso dell’incontro fisico, sia il caso dell’incontro attraverso un “social”.

Quando qualcuno, osservando una mia foto, commenta estasiato limitandosi a un “bella” o “bellissima”, ormai questo non mi suscita neppure più piacere. Nel migliore dei casi suscita nulla. Quasi come se nessuno avesse detto qualcosa.

Idem per “brutto” e le sue declinazioni.

Di fatto “bella”, “bellissima”, e qualche debole variante (“stupenda”, “wow”, et similia) cosa significano? Ok, bella: da quale punto di vista? Quale valore aggiunto mi arrecano?

Normalmente non dicono proprio nulla. E’ solo un modo semplice, banale ed inutile per fare una cosa che si può anche non fare oppure per togliersi d’impaccio con poco.

Infatti, per lo più, mi si rizza il pelo sulla schiena, mi si scatena la scimmia.

E’ come quando ti dicono “bellissima, sembra un quadro!”.

Aghhhhhh: chi lo dice pensa di farti un complimentone!

Invece tu cominci a sfoderare la katana!

Czzzz, non è un quadro! È una fotografia! Se volevo fare un quadro, compravo colori, pennelli e tele!

Il fastidio sorge dal fatto che, per fare un complimento, in realtà ti stai autoreferenziando, parli di te facendo riferimento, generico e qualunquistico, all’unica arte visiva che probabilmente conosci, e forse perfino non di alto livello, poiché i dipinti che raffigurano ciò che spesso mostrano le foto, magari in modo analogo, non sono normalmente valutati bene o quotati.

La cosa curiosa è che col passare del tempo, questa reazione mi succede anche quando vedo, o sento, commentare le foto altrui allo stesso modo.

Ora, posso capire che tu abbia una timidezza tale che pensi di aver già titanicamente superato con quei “complimentoni”; o che tu ritenga non così confidenziale il rapporto con l’autore cui ti rivolgi; o che soffri di un timore reverenziale; o che tu non abbia né tempo né voglia di aprire una conversazione articolata; o che ci siano molti altri motivi che limitino la tua capacità espressiva.

Più sovente, e benevolmente, sono portato a pensare che tu sia semplicemente limitato nel tuo vocabolario e nella tua intelligenza emotiva.

Vorrei allora provare ad offrire un davvero modesto contributo a tutti coloro che, in tutte le situazioni in cui si trovino, social o no, vogliano complimentarsi con un autore, in modo che quest’ultimo possa sentirsi davvero gratificato e aumentare proficuamente la consapevolezza nel suo lavoro.

Ad un primo “livello iniziale”, ancor prima di addentrarci in più ampie praterie, invito a considerare l’utilizzo di uno strumento dei miei tempi, e che purtroppo oggi pare costituire un tabù o un oggetto estinto: un “banale” Dizionario dei sinonimi e dei contrari.

So bene che molti siano totalmente all’oscuro dell’esistenza di questo presidio culturale: se ne vedono gli effetti!

So altrettanto bene che molti ne abbiano scordato la preziosità o ne accettino, sconsolati, una presunta inutilità a fronte di un uditorio non idoneo ad interagire (comprendere) proprietà e ricchezza di linguaggio.

Purtroppo tutti i media di oggi, anche quelli che dovrebbero invece costituire fari nella notte, inducono alla povertà di linguaggio.

La televisione stessa, che nell’Italia degli anni sessanta del secolo scorso, supportò e spesso surrogò l’istituzione scolastica nell’alfabetizzazione di tanta parte della popolazione, oggi propone linguaggi poveri e standardizzati, intrisi di termini stranieri (questo non sarebbe un male, se equilibrato e non invadente o pleonastico: es.lockdown).

Persino i telegiornali e i suoi professionisti dell’informazione propongono modi e tempi verbali sbagliati, termini errati, anacoluti, e strafalcioni grammaticali e sintattici vari. Quelli che una volta erano “trend setter” (ecco, ci casco anche io) o “modelli” avanzati per la popolazione, oggi sono ventriloqui vaniloquenti degli istinti più bassi e volgari. Il riferimento ai “politici” non è casuale.

Ma vogliamo provare ad entrare nel campo più specifico della fotografia?

Beh, insomma! Qui, pensando ai diversi approcci e punti di partenza, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta!

Si badi bene: non si pretende nel modo più assoluto che tutti siano critici d’arte, estensori di note critiche, studiosi della fotografia, gente che passa le notti sui libri. Persone che spesso, oltretutto, sono leziosi, noiosi, saccenti (come me oggi).

Si chiede invece che le persone sappiano riferirsi, senza autoreferenzialità, alla propria personalità, alla propria cultura, al proprio vissuto, al proprio sentire, alla propria sfera emozionale, trovando le risonanze in se stessi di ciò che osservano, e che sappiano esprimersi con parole utili e non vuote di significato.

Non si chiedono teorici o professori, si desiderano persone semplici ma autentiche, testimoni sinceri dei propri sentimenti, emozioni, pensieri.

Una fotografia può essere considerata a partire dagli aspetti tecnici.

Si può valutare e commentare se è correttamente esposta, non in senso assoluto ed oggettivo, che non esiste, ma in relazione al tipo di foto, di messaggio, di contesto, di soggetto, ecc.

Si può valutare e commentare se il contrasto è adeguato agli stessi elementi.

Ci si può riferire alla nitidezza o allo sfocato, al mosso o alla staticità. Alla grana.

“La tua foto è bellissima, è perfetta sotto il profilo tecnico”, “Bellissima, sei in grado di esprimere un bianco & nero plastico, di eccellente fattura, che ti invidio, ecc.”

C’è anche il “bella, bella sì, ma ……” : eh pace, sottoponiamoci di buon grado al “sì, ma” e al “ma anche” se il contributo è davvero utile e competente.

“Cercando di entrare a fondo nella tua foto e in ciò che mi sembra di capire volessi dire, mi pare che il lowkey che hai usato forse tende ad incupire troppo il messaggio” cercando di aprire un discorso, più che a fornire una sentenza inappellabile, come si fa sovente nei circoli/gruppi fotografici.

 

Una fotografia può essere considerata a partire dagli aspetti compositivi.

Si può valutare se l’immagine è ben composta, se il taglio o il formato sono adeguati, se il soggetto emerge tra gli altri elementi, se la disposizione dei diversi elementi è utile ad individuare il soggetto o i soggetti ed il loro contesto, se la composizione è o meno funzionale al messaggio o al racconto che la fotografia esprime.

“Questa composizione è perfetta, non tanto perché rispetta la sezione aurea, quanto perché il soggetto di cui parli è perfettamente evidenziato e descritto, in relazione agli elementi da cui è circondato”.

“Il tuo occhio fotografico migliora di foto in foto”

“Ti riconosco un occhio sensibile ed attento”, “hai una capacità rara di far parlare i tuoi soggetti”.

Gli esempi possono essere infiniti.

Ma riempiamo di contenuti i nostri commenti e non solo di vuoti, seppur enfatici, aggettivi!

L’importante è infatti aggiungere un contenuto, un significato, ad un aggettivo troppo generico come “bello”, anche se al superlativo.

I due aspetti cui si è sopra accennato (tecnica e composizione) non sono, dal mio punto di vista, da trattare in modo cattedratico o dottrinale, quanto piuttosto dal punto di vista delle reazioni che questi elementi suscitano nell’osservatore, in senso visivo, intellettuale ed emozionale.

Non è per nulla utile fornire un parere altero o supponente, come sovente capita nei circoli fotografici, dove c’è sempre qualcuno più bravo degli altri.

Mi pare più utile fornire una generosa testimonianza di ciò che una foto suscita in me, seppure a riguardo degli aspetti più tecnici.

Anche se talvolta un leggero accenno sugli aspetti tecnici e compositivi può essere davvero utile all’autore, soprattutto se viene da una persona davvero esperta o appassionata che ti commenta con generosità e senza vanagloria.

 

Una fotografia può essere considerata a partire dagli aspetti emozionali.

“Questa foto per me è bellissima (amen) perché mi evoca ricordi d’infanzia / perché mi ricorda un amore / un momento o un’esperienza importante della mia vita / un momento triste, un dolore, ecc. ecc.”

“La tua foto mi suscita stati d’animo contrapposti / controversi / positivi / negativi / emozioni di questo o quel tipo”

“La tua foto esprime rabbia”, “La tua foto mi mette pace”

“La tua foto è emozionante per me”

Alleluja, alleluja!!!

Queste sono le cose che danno soddisfazione! La mia foto ti ha parlato e soprattutto ti ha fatto smuovere, e-mozionare, ti ha fatto parlare di te.

Facendo questo non sei autoreferenziale, non stai riconducendo tutto il mondo ai tuoi limitati parametri conoscitivi, ma attingi al tuo essere profondo per entrare in relazione con l’autore.

Osservatore e autore stanno provando vibrazioni non identiche, ma dello stesso tipo.

Il rapporto non è più distaccato, ma empatico. L’autore sente che la sua opera non è vuota, o significante solo per lui stesso, ma anche per altri.

 

Una fotografia può essere considerata a partire dagli aspetti comunicativi.

Bellissima, la tua foto comunica perfettamente il tuo messaggio”

Bella, il significato/ i significati della tua foto emergono limpidi”

“La tua splendida foto mi comunica la splendida persona che sei”

“La tua foto esprime tutto il tuo carattere calmo/ la tua ricerca di pace / la tua sofferenza di questo periodo /ecc.”

“La tua foto, per quanto bella, tecnicamente e compositivamente corretta, mi risulta un pochino fredda, asettica, non mi trasmette ciò che forse voleva essere il tuo messaggio”

Una fotografia, come ogni linguaggio, trasmette diversi tipi di messaggio, ma, di base, credo che ne trasmetta di due tipi:

  • uno che riguarda il soggetto (se c’è una storia) o un concetto (il pensiero dell’autore);
  • l’altro riguarda l’autore stesso: che tipo di persona è, qual è il suo carattere, il suo animo, ecc.

Ho fatto solo alcuni esempi per capirci.

Semplici parole, per quanto iperboliche, titillano solamente l’ego dell’artista, ma non hanno una reale utilità in termini di riconoscimento e/o di crescita e hanno di fatto una persistenza simile a quella della neve al sole.

I complimenti che arrivano sinceri sono comunque piacevoli, ma se sono non scontati e banalotti (bella, bellissima) è certamente meglio, soprattutto se rappresentano una cercata e consapevole emozione.

Bella, anche bellissima, mi significa solo un tuo vago appagamento estetico, ma non mi dice nulla sulla tua vera emozione.

“Mi ha fatto piangere”, “mi apre il cuore”, “mi ha creato un groppo in gola”, “mi toglie il fiato” sono già accenti enfatici, ma hanno a che fare con reazioni non epidermiche, vuol dire che ti sei sforzato di andare a capire un po’ meglio ciò che ti succede osservando quella foto, a cercare il nome corretto di quella emozione.

C’è differenza tra nausea, disgusto e schifo, c’è differenza tra gioia e felicità, tra mestizia e tristezza, tra dispiacere e rabbia, ecc.

Dare un nome esatto e descrivere ciò che provi fa bene a te che osservi, ma fa bene anche all’autore, perché capisce che ti sei sforzato di trovare le parole giuste, non le prime o le più facili, che usano tutti.

Capisce che gli hai offerto una reale attenzione.

Anche le citazioni colte, se non appaiono ruffiane e false, o di nuovo, autoreferenziali, aprono l’animo dell’artista, se in tutta sincerità sa di non avere scopiazzato un Maestro, ma di averne tratto un’autentica ispirazione.

Questi sono i contributi e, se vogliamo, i complimenti, che agli artisti fanno piacere e soprattutto comodo, perché restituiscono valore aggiunto, accrescono, migliorano e consolidano la consapevolezza dell’autore.

Ho cercato di dare un contributo, a partire da ciò che farebbe piacere a me sentire e da ciò che mi sforzo di fare quando vedo qualcosa che vale la pena o quando vedo la fatica del progresso nell’autore che ho davanti.

Se possibile, perciò non considerate questo testo come sfoggio di supponenza o vanità, ma come è per me stesso: spunti per un percorso di miglioramento.

Grazie per essere arrivati fin qui.

 

27.04.21 – Camera riapre al pubblico con ben tre mostre di classe

Mercoledì 28 aprile 2021, CAMERA, Fondazione per la fotografia, riapre le porte al pubblico.

Nella conferenza stampa di presentazione, stamattina, il Pres.Chieli ha sottolineato la qualità del lavoro ed i nuovi strumenti adottati nell’anno di chiusura, per arrivare all’occasione tanto attesa con ben tre mostre di alto livello e di indubbio interesse per tutti.

La parola chiave è CONTEMPORANEITA’.

Quella che traspare dalle foto di Lisette Model che ha saputo immortalare, in modo ironico e dissacrante, le persone dell’alta società, goffa e decadente, nelle sue fotografie “street”.

Quella usata da Horst P.Horst, uno dei miei riferimenti visivi preferiti, nell’operazione alchemica così ben riuscita di trasformare le proprie modelle in opere senza tempo, contemporanee appunto per sempre.

Quella che ha animato i progetti e le foto del grande architetto torinese Roberto Gabetti, scomparso 20 anni orsono e che tante realizzazioni ha lasciato nella nostra città.

Le mostre, curate nell’ordine da Monica Poggi, Giangavino Pazzola e Sisto Giriodi, sono visitabili da mercoledì 28 aprile al 4 luglio, presso Camera, in via delle Rosine 18, a Torino.

INFORMAZIONI e BIGLIETTI

CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, 10123 - Torino www.camera.to |camera@camera.to

Facebook/ @CameraTorino

 

06.10.19 – Ottobre di grande Fotografia e Arte a Torino (e non solo)

Ci apprestiamo a vivere, nelle prossime settimane, un susseguirsi intensissimo di eccezionali eventi artistici, tra i quali la nostra amata Fotografia ha un ruolo di primo piano.

Di alcune abbiamo già parlato, di quelle prossime tornerò su ogni evento in modo specifico, ma qui ecco un elenco da togliere il fiato. Fate spazio nella vostra agenda!

Fino al 17 novembre: proseguono gli eventi e gli incontri di World Press Photo alla ex Borsa Valori @wpptorino

Fino al 26 gennaio: Art Nouveau, la grande mostra sul Liberty, alla Reggia di Venaria

Fino al 6 gennaio: David La Chapelle, mostra del grande fotovisionario, anch’essa alla Reggia di Venaria

Fino al 20 ottobre: Design of the City, presso sedi diverse

Fino al 12 ottobre: Gassino Photo Festival, con mostre e talk di grandi nomi della fotografia italiana

Fino al 27 ottobre: Festival della Fotografia etica, a Lodi

12 e 13 ottobre: Flor nelle vie centrali di Torino, e le giornate d’autunno del FAI, sue splendide occasioni per fare ottime fotografie

12 ottobre: inaugurazione della grande mostra delle foto di Vivian Maier alla Palazzina di Stupinigi

17 ottobre: inaugurazione della grande mostra “(WO)Man Ray”, presso Camera

19 ottobre: inaugurazione della grande mostra su Hokusai, alla Pinacoteca Agnelli del Lingotto

20, 27 e 28 ottobre: esposizione di pittori e fotografi in via Roma

Dal 14 al 20 ottobre: Photo Days  “Istanti”, presso sedi diverse

Dal 22 ottobre al 10 novembre: Trieste Photo Days, festival internazionale di fotografia urbana

Dal 30 ottobre al 3 novembre: Paratissima, l’evento off, per gli artisti emergenti, in via Verdi a Torino

Dal 1 al 3 novembre: Artissima, il più importante evento del mercato d’arte in Italia, all’Oval Lingotto

Ce n’è da far tremare i polsi vero?

Seguiteci e ve ne parleremo in dettaglio.

01.10.19 – A tutto visual !

Alcuni suggerimenti per la nostra cultura visiva e fotografica, nei prossimi giorni

GASSINO PHOTO FESTIVAL 2019, 5-13 ottobre

Gassino Torinese ospita la seconda edizione del Festival di fotografia.

L’edizione di quest’anno si intitola “Incroci” e vuole puntare l’attenzione sulla necessità, per i fotografi di oggi, di esprimere la propria Autorialità, di trovare quegli incroci capaci di costruire relazioni fra le persone annullando le differenze o, meglio ancora, facendo della differenza un valore.

Oltre alle mostre di Maurizio Galimberti e di Daniele Pellegrini, il programma del Festival di fotografia di Gassino Torinese si arricchisce poi di due mostre firmate dalle associazioni culturali Arketipo e Time-photo, dedicate a La città che cambia e al Parco Dora, e di una collettiva degli X-Photographer Fujifilm., cui si aggiungono incontri con gli autori e l’opportunità di visitare il Castello di Bardassano.

Il 5 e 6 ottobre, la redazione de Il Fotografo sarà presente a Gassino Torinese per animare un ricco programma di incontri. In particolare, nel chiostro del Castello di Bardassano si svolgeranno le letture portfolio, un’occasione unica per confrontarsi con esperti e critici fotografici (i migliori portfolii scelti dalla redazione saranno pubblicati su Il Fotografo).

Sabato 5 ottobre, alle 11 e alle 15, si terranno due talk guidati da Giovanni Pelloso con Daniele Pellegrini e Niccolò Biddau che parleranno, rispettivamente, di fotografia naturalistica e di architettura. Tutti gli eventi sono liberi e gratuiti.

Info e programma: https://www.facebook.com/associazione.culturale.arketipo/

Per iscriversi alle letture portfolio:
Tel. 347 8537988
archetipo.to@libero.it
#GassinoPhotoFestival

Elio Pallard, Venerdì 4 ottobre

Serata di presentazione di fotografie presso il C.A.I. di Giaveno, relative all'ultimo viaggio in Abruzzo a Campo Imperatore e Rocca Calascio.  La serata è aperta a tutti...
Sempre un piacere vedere le fotografie di un ottimo fotografo
#ElioPallard

Contest fotografico "Confino a dove?"

Organizzato da Psicologia Film Festival

Gli Autori sono stati invitati a considerare questi aspetti: cos’è un confine, come si definiscono uno spazio e/o le persone?

Come lo rappresenteresti in una foto? e a proporre un solo scatto nel quale sia rappresentato una forma di confine o il suo annullamento.

Il pubblico voterà le foto durante l'evento, che si terrà il 5 ottobre dalle 16 a domenica 6 ottobre alle 19 presso i Bagni pubblici - Casa del Quartiere di via Agliè

World Press Photo Torino 2019, Sabato 5 ottobre ore 17,30

Public Lecture con Chiara Avesani autori del video documentario “Ghadeer”
3° classificato per World Press Photo Digital Storytelling Contest, Short video.
Ghadeer è un giovane giornalista di Mosul ritornato nella sua città devastata dalla guerra, ha trovato la speranza per la rinascita della città nella storia del dopoguerra in Europa. Il giovane attivista tramite Radio One FM, un’emittente radiofonica autofinanziata e senza supporto politico, diffonde l'energia di una giovane società civile di Mosul che sta emergendo dalle macerie.
Chiara Avesani è una giornalista torinese freelance che ha collaborato nel corso della sua carriera con emittenti televisive del calibro di Rai (Report) e Al Jazeera.

L’incontro è gratuito, ingresso fino ad esaurimento posti.

#wpptorino



VOGHERA FOTOGRAFIA 2019, fino al 6 ottobre

La seconda edizione di Voghera Fotografia, incontro nazionale dedicato alla fotografia d’autore, si svolge da sabato 14 settembre a domenica 6 ottobre all’interno delle sale del piano nobile del Castello Visconteo e avrà come titolo “Tra luoghi e persone – Transiti”.

Sei progetti fotografici hanno coinvolto fotografi stranieri ed italiani, tra cui Olivo Barbieri, Harry De Zitter e Sara Munari, oltre 250 fotografie esposte, e molto altro sul tema dei “Transiti” contemporanei, corsi e workshop, incontri e talk, visite guidate, performance e videoproiezioni.

Ed ancora, un unicum, la prima “Camera Obscura” permanente in Italia e una mostra realizzata con la fotocamera a foro stenopeico.

Le mostre rimarranno aperte fino 6 ottobre 2019, sabato e domenica 9.30-12.30 / 15.00-19.00

Programma al seguente link :

https://www.vogherafotografia.it/wp-content/uploads/2019/08/programma_2019.pdf

Graphic Days Torino, 3 - 6 ottobre

è il festival internazionale di quattro giorni interamente dedicato al visual design che si svolge annualmente a Toolbox Coworking. L’evento, nato nel 2016, ha l’obiettivo di sostenere il valore culturale della comunicazione visiva, fornire nuovi stimoli progettuali ed espressivi, contribuire allo scambio e al confronto critico attraverso workshop, mostre, conferenze, performance e una mostra mercato, avvicinando artisti del settore col grande pubblico.

La quarta edizione di Graphic Days Torino stimola una riflessione sul legame fra visual design ed impegno sociale. Quest’anno, infatti, l’Organizzazione, ha scelto di affrontare il tema dell’integrazione, coinvolgendo alcune delle comunità straniere presenti nel territorio torinese.

Programma al seguente link :

https://www.graphicdays.it/agenda/

Torino Design of the City, 2 – 20 ottobre

Il design non solo come progettazione di oggetti, ma come progettazione di servizi utili alla produzione e alla dimensione economica di un territorio.

Nel mese di ottobre si susseguiranno incontri, workshop, mostre, tour, eventi che delineeranno l’apporto, necessario e fondamentale, che il design dà quotidianamente.

Centrale nel calendario sarà il Forum Internazionale 2019, il 10 e l’11 ottobre, aperto a tutta la cittadinanza, dove sono state invitate realtà internazionali e nazionali, Unesco Parigi, le città di Cape Town, Detroit, Fabriano, Kortrijk, Madrid, Montréal, Saint Ètienne, Seoul, Shanghai, Singapore e Wuhan a raccontare i progetti che hanno presentato in risposta alla call lanciata da Torino a illustrare le prospettive per i prossimi anni.

Programma al seguente link :

http://www.torinodesigncity.it/programma/

PORTICI DI CARTA, 5-6 ottobre

L’edizione 2019 della libreria più lunga del mondo, progetto della Città di Torino, realizzato da Associazione Torino, Città del Libro e Fondazione Circolo dei lettori, con la partecipazione dei librai torinesi, compie 13 anni.

Programma al seguente link :

http://www.porticidicarta.it/edizione-2019.html

27.09.19 – Sabato 28, ore 17,30 – Marco Gualazzini Public Lecture a World Press Photo di Torino: da non perdere

Stamattina ho partecipato alla preview con la stampa della tappa torinese di World Press Photo 2019
Darò un ampio resoconto, spero, domani.
Mi preme tuttavia segnalare con urgenza un importante incontro previsto per sabato 28, alle 17,30 presso la mostra alla ex Borsa Valori in piazza Valdo Fusi, con accesso separato e gratuito.

Si tratta della Lectio Magistralis tenuta da Marco Gualazzini, 43 anni ben portati, fotoreporter parmense, primo classificato nella categoria "Environment Stories", finalista per il World Press Photo of the Year.
Il suo reportage riguarda  la crisi umanitario in corso nel bacino del Ciad. Il lago Ciad si sta prosciugando, la zona è in fase di desertificazione.
Al contrario aumenta il conflitto sociale tra chi viveva di pesca e gli allevatori, ed anche il jihadismo di Bokp Aram. Il tutto contribuisce a generare un flusso migratorio di circa 2,5 milioni di persone.
Oggi ho avuto il piacere di un incontro di un quarto d'ora con lui e sono rimasto colpito da alcune cose che mi ha detto.
Invito comunque a visitare la mostra, ma, per il momento, mi limito a consigliare molto caldamente di partecipare alla Lectio di sabato 28. 
E per ora propongo tre parole, chiavi di lettura sul suo lavoro: gentilezza, delicatezza, empatia.
Tre parole che mi corrispondono e che mi hanno fatto amare a prima vista alcune sue fotografie tra quelle selezionate per il Premio.
Andate e provate a trovarne altre.
Photo (c) Scatti lenti by Giorgio Cerutti

- settembre 27, 2019 Nessun commento:

Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest

Etichette: conferenza, incontro con l'Autore, mostre, Torino

Ubicazione: Torino TO, Italia

Mostre fotografiche per il week end 27-29 settembre

Consigliamo per questo weekend alcune mostre in alcune importanti residenze sabaude.

Alla Reggia di Venaria

David LaChapelle

Atti Divini

La mostra è una grande monografica di David LaChapelle, uno dei più noti fotografi e registi contemporanei a livello mondiale.

Presso la Citroniera delle Scuderie Juvarriane, la grande mostra di David LaChapelle Atti Divini invita i visitatori ad immergersi in una coinvolgente visione dei lavori del famoso fotografo americano.

Questa nuova rassegna propone 70 opere di grandi e grandissimi formati, le più significative dei vari periodi della carriera dell’artista: Rape of Africa (2009) e Showtime at the Apocalypse (2013), ma anche le vivaci ed elettrizzanti serie Land SCAPE (2013) e Gas (2013).

Al centro del percorso espositivo troviamo Deluge (2007) e a seguire lavori come Awakened (2007) e Seismic Shift (2012).

Questa mostra, Atti Divini presenta per la prima volta alcune opere inedite della nuova serie di LaChapelle New World (2017-2019) che rappresenta lo stupore dell’artista per il sublime e la ricerca della spiritualità in scene di utopia tropicale.

Viaggio nei Giardini d’Europa

Da Le Nôtre a Henry James

Chiude il 20 ottobre

Nell'ambito dell'iniziativa Vivi i Giardini, una suggestiva esposizione fotografica sui giardini più belli delle grandi Regge d’Europa.

La mostra presenta una serie di fotografie di ampio formato, esposte nei Giardini della Reggia Venaria, riguardanti alcuni aspetti caratterizzanti i giardini storici e nello specifico ritraggono i giardini delle Residenze Reali d’Europa, da Caserta al Cremlino a Versailles, dal Royal Palace di Godollo agli Historic Royal Palaces inglesi, da Het Loo a Peterhof e a Sanssouci in Postdam.

120 scatti che ritraggono giochi d’acqua, architetture, sculture, parterre, orti e giochi prospettici dei più bei giardini d’Europa.

La mostra è itinerante: passeggiando nei giardini si incontrano sei sezioni di raccolta immagini, gli spazi coinvolti sono la Peschiera, il Potager, il Roseto, il Gran Parterre e l’allea d’Ercole.

Le fotografie sono state raccolte attraverso una richiesta ufficiale inoltrata alle residenze dell’ARRE (Associazione delle Residenze Reali Europee) che hanno aderito con entusiasmo e originalità.

L’occasione di trovarsi alla Reggia, è ghiotta anche per visitare la grande mostra

Art nouveau

Il trionfo della bellezza

Con manifesti, dipinti, sculture, mobili e ceramiche, la mostra - con un corpus di 200 opere - racconta la straordinaria fioritura artistica che ha travolto e cambiato il gusto tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento.

Info per i biglietti della Reggia e delle mostre

https://www.lavenaria.it/it/visita/quanto-costa/mostre

Presso Camera – Centro per la Fotografia

Fino a domenica 29 (non ci saranno proroghe, in vista della nuova fantastica mostra di cui parlerò) le due mostre in contemporanea di cui già ho scritto in questo blog (vedi)

Larry Fink. Unbridled Curiosity

e Jacopo Benassi. Crack

Presso Ex Borsa Valori

Da oggi fino al 17 novembre

World Press Photo 2019

a Torino la mostra di fotogiornalismo più importante al mondo

Ne abbiamo parlato qui ieri (vedi)

Presso le Scuderie della Tesoriera

Corso Francia 192

Mostra di fotografie d’autore

Venerdì 27, ore 15,30 – 19 / Sabato 28, ore 9,30 – 22 / Domenica 29, ore 9,30 - 19

Ingresso libero

28.09.19 – Tutto (o quasi) su World Press Photo a Torino, dal 27 settembre al 17 novembre 2019

Da oggi alla metà di novembre, il panorama fotografico di Torino sarà molto vivace. Ne parleremo per tempo.

Oggi voglio portare la vostra attenzione su World Press Photo 2019, #wpptorino, il più importante Premio di fotogiornalismo al mondo, e sulla tappa torinese della mostra relativa, inaugurata ieri a Torino, presso la ex Borsa Valori, in piazza Valdo Fusi.

L’esposizione presenta le 157 foto selezionate come immagini che raccontano il 2018 e la foto vincitrice assoluta del premio per il 2019.

Abbiamo visitato la mostra ieri mattina, in anteprima, e non abbiamo potuto fare a meno di considerare come essa sia di fatto un catalogo di tutte le principali nefandezze che uomini e sistemi riescono a perpetrare contro altri uomini e contro l’ambiente, essenzialmente per avidità e odio.

Noi occidentali siamo portati, dai principali media di massa, a vivere i nostri cliché perbenisti, a considerare il nostro piccolo universo nostrano come il tutto, sostanzialmente positivo e, seppure con qualche difficoltà, di sostanziale benessere e pace.

Al massimo trattiamo in modo infastidito ed a volte razzistico fatti, in fin dei conti marginali per noi, ma conseguenze di situazioni ben peggiori.

Infatti, a pochissime ore di volo dalla nostra Europa, sono state provocate tragedie immani che hanno coinvolto e coinvolgono tuttora centinaia di milioni di esseri umani e vastissime zone della biosfera.

Episodicamente e solo con molta volontà abbiamo la possibilità di venire a conoscere tali drammi, e certamente questa mostra, questo premio cui partecipano tra i migliori fotoreporter mondiali è uno dei modi privilegiati per sapere e conoscere.

Questo è, a nostro modo di vedere, il più importante motivo per andare a vedere con attenzione questa mostra.

Poi, da fotografo, non si può fare a meno di considerare la forza espressiva di alcune immagini, la capacità di alcuni fotoreporter di racchiudere con grande potenza in una sola immagine l’immensità di una tragedia epocale, di un disastro ambientale, di un dolore, o di una gioia o una festa.

L’invito è a visitare la mostra osservando con calma la singola foto, o la serie, poi leggersi la didascalia e quindi riconsiderare la foto.  Al termine lasciare decantare.

Credetemi, non si esce come quando si è entrati.

Abbiamo avuto modo di scambiare qualche battuta con Marco Gualazzini, fotoreporter parmense, vincitore della categoria “Environment stories”, col suo reportage sulla desertificazione del Ciad e sulle conseguenti crisi umanitarie e migratorie, che ci ha spiegato come e con quali criteri seleziona gli scatti prodotti, e soprattutto quale è il suo approccio nel realizzarli.

Lui mi ha parlato di “gentilezza”, di vicinanza discreta ai fatti, senza irrompere a forza nei drammi o nelle situazioni altrui, in modo che lui ha definito “colonialistico” e di “superiorità” (direi di suprematismo bianco). Sottoscrivo, ed aggiungo “distacco empatico” e “delicata capacità di parlare per metafore”, su cui abbiamo convenuto. Vi invito a conoscerlo nella Lectio magistralis che farà oggi.

Vi invito ancora a lasciare che le sue foto vi parlino e vi lascino quel buon sapore che hanno, pur descrivendo problemi probabilmente senza soluzioni.

Ma la mostra è solo la punta dell’iceberg di un fitto, interessante e ricco programma di cui diamo conto di seguito.  Nota molto interessante: tutti gli appuntamenti pomeridiani sono gratuiti !!

E’ una ghiotta opportunità per toccare con mano mondi della fotografia normalmente a noi distanti.

Di seguito le note utili per la visita della mostra, il Programma e alcune foto dell’inaugurazione.

UTILITA’ MOSTRA

Quando: da venerdì 27 settembre a domenica 17 novembre.

Indirizzo: Ex Borsa Valori, via San Francesco da Paola 22 - Piazzale Valdo Fusi

Orari: dal lunedì al giovedì 10-20; dal venerdì alla domenica 10-22.

Intero: 10 euro. Per possessori Tessera Musei e tessera Arci: 8,50. Ridotto: 7,50 (under 25, over 65, universitari). Scuole: 5 euro.  Gruppi 6 euro (min. 15). Giornalisti con tesserino euro 6,50. Ingresso gratuito per diversamente abili. Ingresso gratuito per i giornalisti con accredito e under 12.

PROGRAMMA INCONTRI

 

Sabato 28 settembre ore 17,30

Public lecture di Marco Gualazzini, primo classificato categoria "Environment Stories" e finalista per il World Press Photo of the Year.

 

Sabato 5 ottobre ore 17,30

Public lecture di Chiara Avesani autrice del video documentario “Ghadeer”, terzo classificato per World Press Photo Digital Storytelling Contest, Short video.

 

Giovedì 10 ottobre ore 18,30

"Donne schiave. Dalle spose bambine alle lavoratrici minorenni e sfruttate alle prostitute vendute ai bordelli”.

Presentazione del documentario “Bangladesh and Piedmont”. Dibattito con l'autore, Luca Schilirò, e con Stefano Tallia, presidente dell’Associazione Stampa Subalpina, e Monica Cerutti.

 

Venerdì 11 ottobre ore 18,30

“Olimpiadi: dall’immagine alle telecronache. Oltre 80 anni di storia”.

Federico Calcagno, giornalista e telecronista Rai, dialoga con Paolo Cornero, vice presidente Associazione Piero Dardanello.

 

Sabato 12 ottobre ore 17,30

Public lecture di Irene Dionisio. Direttrice di documentari e fiction, per tre anni è stata direttrice artistica del festival Lovers Film Festival.  Ha collaborato con molti produttori italiani e internazionali come regista e autrice. Dal 2010 partecipa a vari progetti sociali e culturali affrontando temi politici, come l'integrazione e il genere. La sua produzione artistica comprende installazioni video e documentari

 

Giovedì 17 ottobre ore 18,30

"La lezione di Bruno Segre".

Presentazione di “Non mi sono mai arreso” di Nico Ivaldi, Editrice il Punto. Il libro racconta Bruno Segre, 101 anni, figura tra le più limpide e coraggiose dell’antifascismo italiano, avvocato protagonista di tante battaglie e decano dei  giornalisti del Piemonte.

 

Venerdì 18 ottobre ore 18,30

"Tutti di corsa: 50 anni di maratona di New York", in collaborazione con  Lettera Ventitrè. Con Alessandro Rastello, maratoneta, presidente Base Running e direttore tecnico di Sport Town, Salvo Anzaldi, scrittore, “finisher” della NYCM 2015 e autore del libro “Nato per non correre”, Luigi Milano, ortopedico Humanitas Cellini, presidente SICP (Società italiana della caviglia e del piede) e ultramaratoneta.

 

Sabato 19 ottobre ore 17,30

Publice lecture di Sergio Ramazzotti e Alessandro Gandolfi (Parallelozero) dedicata a “Una questione di vita e di morte”.

 

Giovedì 24 ottobre ore 18,30

“Fotografia km0: progettare nuove narrazioni della città”.

Presentazione dell'innovativo progetto su Porta Palazzo con Michele D’Ottavio, fotografo professionista e ideatore; Stefania Collina, giornalista e direttrice della rivista "Solidea"; Stefano Di Polito, sceneggiatore e regista; Giacomo Fierro, ricercatore visivo.

 

Venerdì 25 ottobre ore 18,30

"Ancora in cammino: i Rabari del Kutch".

Ospiti: Bruno Zanzottera (Parallelozero), Elena Dak (giornalista e antropologa).

 

Venerdì 1 novembre ore 18,30

"Flint, una città da raccontare" con Francesco Costa, vicedirettore del Post.

Flint, nel Michigan, è una citta con una storia incredibile.

 

Giovedì 7 novembre ore 18,30

“Brand journalism e media company: il potere delle storie”

Ospiti: Davide Scagliola e Sergio Ramazzotti (Parallelozero), Isabella Panizza (Head of Communications Digital Hub di Enel), Carlo Fornaro e Diomira Cennamo (Brand Reporter Lab).

 

Venerdì 8 novembre ore 18,30

"Macedonia del Nord. Se un nome definisce un popolo".

Presentazione del reportage del collettivo Seedpictures. Con Ilaria Blangetti, giornalista, Francesco Doglio e Luca Prestia, fotografi. Modera Donatella Sasso, giornalista East Journal e ricercatrice dell'Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino.

 

Domenica 10 novembre ore 17,30

"In fuga da Nazareth. Profughi di ieri e di oggi".

Con F. Marco Costa, Massimiliano Ungarelli e Sergio Durando, direttore dell'Ufficio Pastorale Migranti di Torino, moderati da Chiara Priante.

 

Giovedì 14 novembre ore 18,30

"Perù, terra sfruttata e terra venerata".

Presentazione del reportage di Francesco Garello, giornalista, Manuel Peluso, video maker, Anna Catella, producer, Federica Micozzi di Fairmail. Modera il giornalista Eugenio Giannetta.

 

Venerdì 15 novembre ore 18,30

"Tutta mia la città. Torino è cambiata davanti all'obiettivo".

Per il finale di Wpp, un omaggio alla città di Torino con Daniele Solavaggione, fotografo e giornalista torinese, ed Enrica Tesio, scrittrice.

 

Sabato 16 novembre ore 17,30

Incontro con il fotoreporter Francesco Bellina e l’attivista di Mediterranea, Fausto Melluso, responsabile migrazioni Arci Sicilia e attivo fin dall’inizio nella prima missione di monitoraggio nel Canale di Sicilia, con nave battente bandiera italiana. Ci racconteranno la genesi e tutti gli aggiornamenti sulla missione.

ALCUNE FOTO